Personale ATA, diritto alla pausa dopo sei ore di lavoro. Nota ARAN

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L’ARAN risponde ad un quesito che riguarda l’esercizio della pausa per il personale ATA riconoscendo che per il detto personale si applica la normativa generale sull’orario di lavoro.

Questo il quesito:

Il personale ATA con orario di lavoro giornaliero di 7 ore e 12 minuti, dalle ore 7:48 alle 15:00, nel caso di un corso obbligatorio di aggiornamento sulla sicurezza della durata di 3 ore, dalle ore 15:00 alle ore 18:00, è obbligato ad effettuare la pausa di almeno 30 minuti?

“In proposito si richiama l’art. 51, comma 3, del CCNL 29.11.2007, il quale espressamente prevede che “l’orario di lavoro massimo giornaliero è di nove ore. Se la prestazione di lavoro giornaliera eccede le sei ore continuative il personale usufruisce a richiesta di una pausa di almeno 30 minuti al fine del recupero delle energie psicofisiche e dell’eventuale consumazione del pasto. Tale pausa deve essere comunque prevista se l’orario continuativo di lavoro giornaliero è superiore alle 7 ore e 12 minuti.”
Sul punto, va osservato che la clausola contrattuale deve essere letta unitamente alle norme imperative di legge in materia di orario di lavoro.
In particolare, con riguardo alla pausa l’art. 8, comma 1, del d.lgs. n. 66 del 2003 non lascia margini interpretativi laddove stabilisce che quando l’orario di lavoro giornaliero ecceda il limite di sei ore “il lavoratore deve beneficiare di un intervallo per pausa, le cui modalità e la cui durata sono stabilite dai contratti collettivi di lavoro, ai fini del recupero delle energie psico-fisiche e della eventuale consumazione del pasto anche al fine di attenuare il lavoro monotono e ripetitivo”.
Tale disposizione rende il diritto alla pausa del tutto indisponibile al lavoratore che, conseguentemente, non potrà rinunciarvi. Infatti le norme finalizzate al recupero delle energie psico-fisiche sono poste dal legislatore a tutela e nell’interesse del lavoratore.
In relazione a quanto sopra specificato si ritiene che la fruizione della pausa abbia carattere obbligatorio e, in quanto tale, non possa dipendere né dalla volontà datoriale né da quella del lavoratore.”
La direttiva sull’orario di lavoro si può applicare al personale della scuola
L’orientamento dato dall’ARAN è importante. Si deve ricordare che è il DECRETO LEGISLATIVO 8 aprile 2003, n. 66 che è quello che concerne l’attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE la norma madre sull’orario di lavoro.
Però l’articolo 2 comma 3 del medesimo DLGS così si pronuncia: . Le disposizioni del presente decreto non si applicano al personale della scuola di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297.
Dunque si era giustamente nella convinzione che tale quadro normativo non trovasse applicazione per il personale della scuola.
Ma, una Comunicazione interpretativa sulla direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro (2017/C 165/01) si evidenziava in modo chiaro che: “La direttiva sull’orario di lavoro è pertanto applicabile alle attività delle forze armate, della polizia o dei servizi di protezione civile, nonché ad altre attività specifiche del pubblico impiego, quando vengono svolte in condizioni abituali. “
Dunque anche il personale della scuola potrebbe rientrarvi.
La Corte di Giustizia Europea ha affermato con la Sentenza del 25.11.2010, causa C429/09 al punto 43 che “ Si deve ricordare che la direttiva 2003/88 intende fissare prescrizioni minime destinate a migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori mediante il ravvicinamento delle normative nazionali riguardanti, in particolare, la durata dell’orario di lavoro. Tale armonizzazione a livello dell’Unione europea in materia di organizzazione dell’orario di lavoro è intesa a garantire una migliore protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, facendo godere a questi ultimi periodi minimi di riposo – in particolare giornaliero e settimanale – e periodi di pausa adeguati e prevedendo un limite massimo per la durata settimanale del lavoro (v., in particolare, sentenze citate Pfeiffer e a., punto 76, nonché Fuß, punto 32)”.

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